Disciplina e niente panico
di Valerio Annicelli
11/11/2020 Le curve del Covid
La corda comincia a tendersi troppo perché troppi interessi remano in direzione opposta. La stessa politica mette in discussione sé stessa con deleteri bracci di ferro che inevitabilmente portano a complicare il già difficile quadro dell’epidemia nazionale, di fatto disorientando anche l’opinione pubblica. Ma perché succede questo, a differenza di marzo quando si accettavano con inedito (ma breve) patriottico entusiasmo le misure di emergenza imposte?
Ho provato, con razionalità e critico distacco, a fare un’analisi. Posso dire che esistono queste principali ragioni: 1. Abbiamo familiarizzato con il problema e pensiamo di saperne abbastanza da poter giudicare l’operato di chi decide e/o di poter valutare autonomamente i rischi; 2. I ventuno criteri e i due algoritmi alla base della matrice di rischio (che determina lo status cromatico identificativo dello stato di allerta regionale) lasciano molto spazio alle interpretazioni; 3. Il metodo citato al punto precedente è stato applicato troppo tardi e lascia spazio a strumentalizzazioni e polemiche più o meno fondate circa l’orientamento che possa privilegiare territori e/o settori dell’economia nazionale.
In merito al primo punto si potrebbe parlare per settimane perché è un argomento che riguarda aspetti culturali, strumentalizzazioni politiche finalizzate al consenso (e non solo), disinformazione diffusa e spesso fuori controllo per via dei nuovi strumenti di comunicazione più o meno interattiva (e non solo). Sorvolerei perché l’oggettività è difficile da dimostrare.
In merito al secondo punto bisogna dire che i criteri erano stati definiti già ad aprile. Meno chiaro è il metro di valutazione su base quantitativa, ovvero quanto pesa ciascun criterio e qual è la relazione numerica che li lega ai due algoritmi: 1. Algoritmo di valutazione di probabilità; 2. Algoritmo di impatto.
Entrambi gli algoritmi forniscono indicatori che, inseriti nella matrice di rischio, determinano la condizione verde, gialla, arancione e rossa in cui poi le regioni si trovano a veder applicate regole di contenimento pertinenti con lo stato cromatico. Ebbene, gli algoritmi determinano la probabilità e l’impatto in funzione di quesiti che lasciano un margine abbastanza discrezionale in quanto più di valenza qualitativa che quantitativa. Ovviamente questo è interpretabile, con critica più o meno costruttiva, come tentativo di non irrigidire troppo i criteri per poter gestire con qualche grado di libertà situazioni particolari. Il risultato invece è che le polemiche si sono moltiplicate disorientando l’opinione pubblica poco avvezza a ragionare con i numeri o gli algoritmi, e più incline a ricercare notizie sensazionalistiche e fomentabile da chi strumentalizza certe discussioni alimentando malcontento e di fatto dividendo invece che unire.
In merito al terzo punto è del tutto ovvio, e per certi aspetti legittimo, intravedere nei criteri adottati interessi di parte che provino a tutelare certe categorie a scapito di altre, nel tentativo di arginare un problema con molte più incognite che variabili. Sarebbe stato difficile già stabilire un criterio oggettivo quando le acque erano calme figuriamoci con il mare in tempesta.
Di fatto tutto questo tentativo di razionalizzare e mettere ordine si sta pericolosamente trasformando in indifferenza dei più forti (o almeno quelli che credono di esserlo) minando quello spirito di coesione che era presente a marzo e che ci spingeva a cantare l’inno nazionale dai balconi. Tutto finito. Eppure la situazione è molto più complessa che a marzo (almeno al sud), quando il popolo paradossalmente era molto più disciplinato, quando il SarsCov2 aveva causato (relativamente) pochi casi di Covid19.
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Pietro Andrea Annicelli