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Francesco Lenoci e la moda: consigli per la crescita

di Pietro Andrea Annicelli

14/01/2019 Economia

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Francesco Lenoci e la moda: consigli per la crescita

 

L'intervista a Francesco Lenoci, docente di Economia all'Università Cattolica di Milano, è ormai un classico di Cronache Martinesi dopo Pitti Uomo, terminato a Firenze l'11 gennaio. Grazie all'osservazione critica e analitica del professor Lenoci, si possono comprendere le progressive trasformazioni d'un settore che continua a rappresentare un punto fermo per la produzione a Martina e nel territorio.

Qual è stato, quest'anno, l'aspetto più significativo per la moda martinese al Pitti?
«Mi ha molto colpito un'intervista rilasciata da Pino Lerario al Corriere della Sera in cui ha confermato un aspetto che avevo anticipato negli anni scorsi. Lui ha dichiarato che il brand di famiglia, Tagliatore, il più importante tra quelli della moda martinese, ha fatturato nel 2017 ventisei milioni di euro. Non è una cifra eccezionale. Si può facilmente dedurre che, se vuole realmente competere con i grandi della moda, Tagliatore deve crescere. Pino Lerario è un eccellente creativo e per questa ragione si distingue dagli altri. Quest'anno al Pitti si è inventato un cappotto di velluto azzurro bellissimo e innovativo, forse pescando nel subconscio: l'azzurro è il colore di Martina. Non può però pensare di crescere solo servendosi del brand, per quanto ormai affermato a livello nazionale e internazionale».

Quale sarebbe l'alternativa?
«Crescere attraverso acquisizioni: una prospettiva di crescita interna è troppo lenta. Ci metterebbe troppo tempo».

In generale come si è presentata la moda martinese al Pitti Uomo?
«Tagliatore, Hevò, Berwich, Tardia, Bottega Martinese erano tutti al piano inferiore del padiglione centrale, al quale si accede per meriti e titoli acquisiti. Fradi e Angelo Nardelli erano al piano terra dello stesso padiglione centrale. 0909 Fatto in Italia di Luciano Acquaviva era l'unico a non essere nel padiglione centrale, ma comunque era dislocato in un punto prestigioso che si chiama Costruzioni Lorenesi proprio accanto al padiglione. Tutti bravi, quindi. E per me è stato un motivo d'orgoglio vedere che le nostre imprese erano lì e comunicavano a tutta la moda italiana che Martina è importante. Fradi ha rivinto il Premio Gazzalook e vincere una volta può succedere, riconfermarsi è molto difficile. I capi d'abbigliamento erano notevoli, gli stand molto belli e frequentati, soprattutto da stranieri. Tutto ciò premesso, servono dei consigli per la crescita».

Quali?
«Il primo è la focalizzazione su un brand che identifichi l'associazione tra il capospalla e Martina Franca per appropriarci d'un segno distintivo forte: se non lo facciamo, siamo degli sciocchi. Il secondo: occorrono una serie di negozi monomarca da aprire nelle città più prestigiose del mondo: Milano, Londra, New York, Tokio. I monomarca qualificano un brand: se non ce l'hai, non hai la patente che ti porta in tutto il mondo. Berwich e Tagliatore hanno annunciato l'apertura di monomarca: ben vengano e che siano d'esempio per tutti gli altri. Ma non basta. Terzo consiglio, e torniamo alla crescita per acquisizioni: occorre crescere per linee esterne. Tutti stanno facendo il contrario aggiungendo ogni anno qualcosa al campionario. Ma è una crescita lenta che non dà risultati nell'immediato. Non possiamo permetterci una crescita così lenta. Quindi occorre crescere per linee esterne puntando sul nostro appeal di moda martinese nel padiglione centrale di Pitti Uomo. Il quarto e ultimo consiglio riguarda le sinergie. Le uniche che ho visto sono tra la moda e il cibo. Ma Martina è anche la città del Festival della Valle d'Itria e di tante altre cose. La mancanza d'una sinergia con il Festival è un peccato. In questo momento abbiamo bisogno di schierare tutte le nostre forze in campo: il Festival deve essere parte integrante della città e seguire i suoi protagonisti dappertutto. Tutti i vantaggi competitivi di Martina devono integrarsi. E restando al Festival mi viene in mente Fabio Luisi: ha diretto l'orchestra che ha eseguito l'inno nazionale che tutti i giorni si ascolta alla Rai. Perciò, anche la musica deve scendere a fianco delle nostre cose migliori».

Vorrei che approfondissi la questione del brand che associa il capospalla al territorio.
«Noi martinesi siamo cappottari. E il capospalla deve essere menzionato associandolo sempre a Martina Franca. Altri fanno il capospalla: noi facciamo il capospalla di Martina Franca. Significa che abbiamo una tradizione e una storia che altri non hanno, per cui il nostro non è un capospalla qualsiasi ma il capospalla, esattamente come il tartufo d'Alba non è un tartufo qualsiasi ma il tartufo per antonomasia. La Puglia ha un'immagine internazionale: Martina Franca è una città importante della Puglia con una sua immagine unica. Perciò noi dobbiamo imparare a identificare il capospalla e il territorio. Il capospalla di Martina Franca è l'altra faccia dello slogan cappottari siamo noi. Significa valorizzare al meglio il prodotto attuando una best practise che resta nell'immaginazione. La slogan che quest'anno ha identificato al Pitti gli imprenditori martinesi, Martina is fashion, non funziona perché è troppo generico e quindi manca l'identificazione: qualsiasi posto del mondo is fashion. Non basta inventare un nome a tavolino: gli si deve dare sostanza. Fashion è una delle parole più utilizzate al mondo, quindi non identifica niente. Affermare invece che il capospalla migliore è quello di Martina Franca, così come il tartufo migliore è quello d'Alba, significa presentarsi in maniera vincente nei mercati più esigenti del mondo, come il Giappone, comunicando che il nostro capospalla non è un prodotto normale, ma una forma d'arte realizzata grazie a un lavoro largamente artigianale. Significa rendere il prodotto immaginifico. E se riesci a farlo, i confini si allargano e puoi accedere ai mercati di tutto il mondo. È quello che dobbiamo fare: continuerò a ripeterlo fino all'esasperazione».

E come possono le imprese della moda crescere per linee esterne attraverso acquisizioni?
«Se Tagliatore vuole fare le scarpe adatte ai vestiti che produce, non deve mettere un reparto che le faccia nella sua azienda, ma acquistare le aziende che le fabbricano. Lo stesso vale per Berwich se vuole le cinture adatte ai suoi pantaloni. Crescere attraverso acquisizioni è l'unica maniera per incrementare rapidamente il fatturato ed essere concorrenziali ai grandi brand. Se una squadra punta sul vivaio, non può aspettarsi di vincere rapidamente il campionato. Se invece sei la Juventus e vuoi la Champions League, devi comprare Cristiano Ronaldo: è più semplice, vale per tutti ed è un principio di economia. E se incomincia a farlo uno, anche gli altri gli andranno dietro: gli esempi virtuosi fanno proselitismo e si autoalimentano. Perciò valgono le sinergie. Serve anche un sistema creditizio all'altezza perché gli imprenditori hanno bisogno di capitali. Dell'identificazione tra prodotto e territorio ho detto. Posso completare evidenziando che all'incremento dei fatturati servono le strutture indispensabili a fare marketing: un museo dei cappottari, una scuola e una casa della moda. La moda è un'economia storica di Martina Franca. Se ci viene a trovare uno dei buyer dall'estero che hanno visitato uno degli stand bellissimi dei nostri imprenditori a Pitti Uomo, non sai dove portarlo: non ci sono tracce tangibili d'una tradizione economica di centocinquant'anni che ha impiegato fino a quindicimila persone. Questo è un errore».

In definitiva, come definire il momento attuale della moda martinese?
«Stiamo contrinuando a camminare: mi piacerebbe che iniziassimo a correre. O, come diceva don Tonino Bello, finalmente a danzare».

 

Francesco Lenoci con Pino Lerario allo stand di Tagliatore al Pitti Uomo. 

 

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