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Francesco Lenoci: «Tagliatore venga a Milano»

di Pietro Andrea Annicelli

15/01/2018 Economia

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Francesco Lenoci: «Tagliatore venga a Milano»

 

Pitti Uomo, la fiera internazionale della moda maschile che si svolge ogni anno a Firenze e che si è conclusa il 12 gennaio, ha sempre un’osservatore d’eccezione: Francesco Lenoci, professore d’economia a Milano, uno dei martinesi eccellenti in giro per l’Italia e per il mondo.

Un anno fa il messaggio che lanciasti agli imprenditori del tessile di Martina fu: le vostre imprese devono crescere nel fatturato se vogliono contare. Qual è la situazione attuale?

«Tagliatore si è classificato al terzo posto in Italia tra i brand più venduti. Al secondo c’è Gucci, al primo Stone Island. Se uno pensa che questi due marchi hanno una sede a Milano in zone prestigiose, uno in via Montenapoleone, l’altro a pochi metri da via della Spiga, mentre Tagliatore ce l’ha nella zona industriale di Martina Franca, possiamo parlare di mezzo miracolo. Oggi esistono quattro capitali della moda a livello mondiale in competizione tra loro. Milano con la Milano Fashion Week, Parigi, Londra, New York. Firenze con Pitti Uomo è una cosa a parte: va avanti da novantatre edizioni, si regge sulla tradizione e sul fascino senza avere alle spalle un tessuto imprenditoriale pari a quello delle altre quattro città. Alla Milano Fashion Week, che si è appena conclusa, non c’è stato alcun pugliese protagonista. Tagliatore deve fare ancora uno sforzo e riuscire ad andarci il prossimo anno: è importante che il rappresentante della Puglia sia un martinese. Poi, come Gucci e Stone Island, deve avere un monomarca a Milano: Firenze e Martina gli stanno ormai strette».

E gli altri?

«Se devo considerare le presenze al Pitti Uomo, quest’anno ne abbiamo avuta qualcuna in meno: erano nove aziende in tutto. Sette, però, erano nel padiglione principale: Tagliatore, Angelo Nardelli 1951, Hevò, Berwich, Tardia, Fradi, Bottega Martinese. È un risultato eccezionale. Le altre due, 0909 Fatto in Italia e Gian Riccardo Raguso, erano rispettivamente nei padiglioni Costruzioni Lorenesi e Palestra. Rispetto all’anno scorso mancavano John Sheep, Ncm Group e Domenico Tagliente. In realtà quest’ultimo esponeva in un altro posto di Firenze che però non era il Pitti. Complessivamente, rispetto al 2017, è stata una battuta d’arresto. Mi auguro non sia un segnale più preoccupante».

In che senso?

«La cosa preoccupante non sono le tre aziende in meno rispetto all’edizione dello scorso anno, ma la mancanza di nuovi ingressi. Non me ne aspettavo nel padiglione centrale dove, per arrivarci, si deve sputare sangue. Se però la situazione dovesse continuare nelle prossime edizioni, potrebbe significare che il fenomeno della moda a Martina si va esaurendo. Mentre emergono scrittori, cantanti, registi, attori, non vi sono, per il momento, nuovi confezionisti, nuovi stilisti. Si tratta d’una battuta d’arresto per la tradizione dei cappottari, la scuola del capospalla: mi chiedo che cosa produca il distretto della moda. Perciò o l’imprenditoria investe creando le basi per riprodursi, o dobbiamo prepararci al declino di questo settore. Sarebbe un peccato, anche perché c’è una tradizione secolare che non deve essere dispersa». 

Intanto Martina è ritornata a essere considerata città d’arte.

«Va benissimo. Ma deve avere una serie di cose, altrimenti sarà un riconoscimento che rischierà di essere effimero come è stato in passato. Martina sarà città d’arte se avrà degli imprenditori all’altezza. Mi spiego. Nel settembre scorso ho incontrato un signore che si chiama Tony Ingrosso. È di Gallipoli e insieme stiamo facendo un po’ di cose. Lui si è inventato una sorta di programma attraverso il quale rilancia la campagna di quella zona perché Gallipoli, intesa come mare, è satura. Il suo obiettivo è rilanciare Gallipoli in senso virtuoso. È venuto a Milano a Brera e ha aperto tre locali. Lì si parla di Gallipoli. E poiché Brera è Brera, le cose fatte lì valgono di più: perciò anche Tagliatore deve venire a Milano. Cosa dovremmo fare noi? Abbiamo un luogo, la Valle d’Itria, che nell’immaginario collettivo è considerato uno dei più belli d’Italia. Dovremmo promuoverlo in tutta Italia con  orgoglio, portandolo in giro in tutte le manifestazioni di settore a cui partecipano le nostre aziende. La verità è che occorre parlare con i forestieri per capirlo: chi ci vive, non se ne accorge». 

Quindi non occorrono imprenditori classici, ma imprenditori con una sensibilità in grado di cogliere il valore dei luoghi e trasformarlo in economia.

«Esattamente. Martina, la Valle d’Itria, non devono tanto inventarsi un modello vincente, ma dare valore a quello che hanno ed esserne orgogliosi proponendolo con forza ovunque possibile. Se Brera è Brera, la Valle d’Itria ha tutte le caratteristiche per avere un’analoga immagine vincente. Ritorno a dire: Martina sarà città d’arte se avrà imprenditori capaci di ricavare valore aggiunto da quelle che sono le specificità che rendono ambito il suo territorio. L’arte senza l’imprenditoria non va da nessuna parte mentre l’imprenditoria che dà valore all’arte può trasformarsi in mecenatismo, beneficiando tutta la città oltre ad aver creato un’economia».        

Nella foto, Francesco Lenoci, a destra, con Carmelo Cardone, direttore commerciale di Tagliatore, a Pitti Uomo

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