Teo Pizzigallo: il dolore, la pace, il senso della storia
di Pietro Andrea Annicelli
23/08/2018 Cultura
«Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri». Così Giovanni Bachelet, il 14 febbraio 1980 nella Chiesa San Roberto Bellarmino a Roma, terminò il suo appello durante il funerale del padre, il giurista Vittorio, vice presidente del Csm assassinato due giorni prima dalle Brigate Rosse all'Università La Sapienza. Insieme al successivo impegno al dialogo con i terroristi dello zio Adolfo, gesuita fratello di Vittorio, quell'appello cristallizzò la sconfitta storica della lotta armata, rimettendo al centro del progetto politico il valore della persona «superato in forza del credo e della linea politica che ci ha spinto fino a calpestare la vita umana, a considerarla non come valore assoluto, ma come variabile politica», riconobbero i brigatisti in una lettera. Il funerale di Teo Pizzigallo il 19 luglio proprio a San Bellarmino non è stato quindi un caso o una semplice coincidenza, ma l'attribuzione d'un senso conclusivo alla sua esistenza terrena rispetto alla battaglia culturale del suo tempo.
Empaticamente, per ricordarlo nella contemporanea messa a San Martino voluta dai suoi amici, Don Franco Semeraro ha scelto il passo 5, 38-48 dal Vangelo secondo Matteo: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli». Intanto l'affetto degli studenti e degli allievi, un flusso inusuale anche per un professore unico qual era, continua a manifestarsi su Facebook. Per lui valeva quello che un ragazzo disse proprio di Vittorio Bachelet, ai cui esami Teo collaborava da giovane assistente di Scienze Politiche a Roma insieme a quelli di Aldo Moro, di cui era allievo: «Credeva nella possibilità di discutere con tutti». La stella polare: Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani. Uno dei pilastri del Sessantotto inattaccabili da ogni revisionismo e trasformismo: «Il sapere serve solo per darlo».
La pista tracciata era quel cattolicesimo democratico che aveva ricevuto un impulso decisivo e universale dal Concilio Vaticano II: l'apertura progressista e cosmopolita al mondo perché la parola di Dio è stata comunicata nella storia. Se si guarda ai suoi studi, in particolare per delineare quella politica per l'approvvigionamento energetico che si sviluppa a doppio filo con le relazioni internazionali ed è cruciale nella vicenda storica italiana del Novecento, si può apprezzare l'apertura mentale e la profondità d'uno che è stato ragazzo negli anni Sessanta e Settanta. E che ha potuto attingere, grazie alla sua formazione, all'originario senso di speranza di quell'epoca.
Ebbe la giovinezza rovinata, Teo, dalla fine di Aldo Moro. Daniela, la seconda moglie la cui presenza valorizzava quella serenità d'animo che lo portava a esprimere pienamente il suo carattere gioviale, dice che non superò mai il trauma di quella tragedia. Il lavoro serio, metodico, scientificamente coerente d'un grande giornalista investigativo, Paolo Cucchiarelli, ha smascherato molti dei retroscena, spesso vili e ignobili, che tuttora nascondono ufficialmente la verità sui fatti e gli attori dell'omicidio politico più importante della Repubblica. Che è stato anche l'operazione d'intelligence di più diretto impatto sull'indipendenza del Paese e, in definitiva, un tradimento delle istituzioni dell'epoca verso gli italiani. Il dolore invisibile di Teo, che visse quei giorni a stretto contatto con gli uomini di fiducia del presidente della Democrazia Cristiana, ebbe forse origine dall'aver dovuto prendere atto che tutto era finito quando il suo maestro e amico era stato a un passo dalla salvezza.
Quarant'anni dopo, aveva ormai capito tutto di come era andata. Lo immagino, ventottenne nei giorni convulsi di quella primavera, assistere all'arroccamento dei democristiani e dei comunisti nell'immobilismo della sterile linea della fermezza. E pochi uomini di buona volontà, oltre ai familiari, a tentare di salvare Moro. Paolo VI con i gesuiti. I socialisti di Bettino Craxi e Claudio Signorile. Il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, e quello del Senato, Amintore Fanfani. Tutti variamente contrastati e isolati da chi stava deviando il corso della storia.
Il giovane Teo Pizzigallo verosimilmente si accorse in fretta che la scelta di Moro di perseguire la riconciliazione politica dell'Italia cercando di tenere insieme le ragioni di tutti, comprese quelle dei comunisti («Il suo disegno era ristabilire l'alleanza antifascista e democratica della Costituente, facendo rientrare il Pci nella competizione democratica come avversario della Dc», mi disse una volta), cozzava con la volontà della destra statunitense e della Nato d'impedire l'indipendenza italiana ed europea sulle questioni energetiche e militari. Quello che forse non poteva immaginare era il livello di viltà e di compromissione delle istituzioni: fino a mandare a morte il più importante uomo politico italiano e a insabbiare la verità sull'accaduto. «Mai nella storia della Repubblica le sue sorti furono legate alla presenza o assenza di un solo uomo politico» ha scritto Cucchiarelli.
Gli anni Ottanta, mi ha raccontato Daniela, furono per Teo un periodo di sofferenza personale e professionale. Perciò apprezzo ancora di più il suo non averlo dato a vedere, trasmettendomi anzi la forza e l'entusiasmo con cui mi convinse a non lasciare gli studi universitari e a laurearmi. Erano i primissimi anni Novanta. La sera uscivamo insieme io, lui e Agostino Quero che, scherzando, diceva che gli ricordava Ruud Gullit senza l'acconciatura rasta. E quando sostenni con lui a Bari l'esame di storia contemporanea, ci demmo subito del lei ristabilendo senza esserci messi d'accordo, per il rispetto naturale che innerva l'amicizia, il giusto distacco formale tra il professore e lo studente.
Spesso cercavo di fargli raccontare qualcosa di Moro. Ma lui svicolava con eleganza parlando d'altro. Una volta, però, gli s'illuminarono gli occhi: «Hai letto le lettere? Non è vero che fosse matto come dicevano per screditarlo. Quello era lui: era veramente lui». Quasi a dire: non farti imbrogliare come i giovani degli anni Settanta, che Moro non lo capirono, e quelli che, asserviti psicologicamente, culturalmente e politicamente, non si accorgono, in una società di forti contrapposizioni perché inutilmente competitiva, che la libertà consiste nell'accogliere pacificamente istanze plurali. Ragiona con la tua testa, senza condizionamenti. Cerca la verità che aiuta a essere migliori.
Mi seguiva a distanza, come un fratello maggiore, senza dirmelo: me ne accorgevo dal commento benevolo su qualche articolo d'estate, quando lo rivedevo perché tornava a trovare i genitori. O che mi veniva riferito. Come per un servizio televisivo sul 3° Roc e la strage di Ustica un anno dopo che era andato a insegnare storia delle relazioni internazionali alla Federico II di Napoli: «Teo ha detto che è il miglior lavoro giornalistico fatto a Martina». Poi c'erano le consegne. «Per favore, dì a Deino che sono Matteo, non Teofilo»: Amedeo Lanucara, quando lo menzionava in qualche articolo per qualche immancabile ipotesi di candidatura elettorale, scriveva invariabilmente Theo e non Teo. Sempre sulle candidature: «Ti nomino mio portavoce. E se scrivono che sono candidato a qualcosa, mi raccomando: smentisci tutto. Anzi, rispondi: il professore non è candidato a niente, non vuole essere candidato a niente, gl'interessa solo insegnare». Ahimé: nonostante mi sia molto applicato, anche alle ultime amministrative se l'è giocata con Luciano Violante come candidato sindaco immaginario ...
La pace attraverso il dialogo che conduce alla mediazione, un valore alto, in alternativa al mero compromesso, che è compravendita a ogni costo: su questo principio, attraverso la fatica quotidiana della ricerca e dell'insegnamento, Teo Pizzigallo ha costruito la sua identità. Fedele all'idea, già di Moro, che la migliore politica estera italiana, soprattutto nel Mediterraneo, nostra naturale area d'interesse geopolitico, non possa essere che di amicizia con gli altri Paesi e gli altri popoli. E l'uomo dedicato, con un sorriso, al servizio: dei valori, delle idee, degli altri uomini. Avendo come orizzonte ideale, degno ragazzo degli anni Sessanta, la pace sulla Terra.
Figlio di due notevoli educatori martinesi, Michele Pizzigallo e Grazia Speciale, nell'insegnare metteva in pratica, quasi senza accorgersene, il principio di don Milani secondo il quale i giovani «sono tutti sovrani». A Bari, a Napoli, a Roma, tutti sono concordi nell'evidenziare la sua capacità di mettere gli studenti al centro della didattica leggendone le istanze e andandovi incontro. Il segreto d'ogni bravo insegnante è non smettere mai di cercare d'imparare: anche dai suoi studenti. Forse è per questo che in tanti hanno una storia, un aneddoto, un particolare momento da conservare, scambiare, tramandare.
Non aveva mai voluto scendere in campo in politica per quella Democrazia Cristiana che forse, come tanti, considerava finita con Moro. Però negli ultimi anni s'era dedicato con la consueta passione, da «semplice iscritto», com'era solito dire, a quel Partito Democratico al quale non si stancava di guardare con l'ottimismo della volontà. Aveva intessuto solidi legami con il Pd locale, al quale prestava la sua esperienza incuriosito da quel patto generazionale che rappresentava una novità per Martina. Era comparso in un video di sostegno alla candidatura a sindaco di Franco Ancona nonostante il suo avversario fosse un Pizzigallo: suo cugino Eligio. Anche per la sfortunata candidatura alla Camera di Donato Pentassuglia, sei mesi fa, Teo aveva speso la sua immagine con la consueta generosità. «Donato e io proveniamo dalla stessa area politica: quella del cattolicesimo democratico che concepisce la politica come servizio alla comunità. (...) E non appena le mie condizioni di salute lo consentiranno, mi metterò al suo fianco anche fisicamente in questa battaglia d'idee» aveva sussurrato, ormai malato.
Teo è tornato l'ultima volta a Martina il 1 maggio. Anche questa data sottintende un senso per la sua vita: l'appartenenza alla classe lavoratrice in tutti i suoi aspetti, essendo il lavoro un fondamento della libertà e dell'emancipazione della persona. Sapeva sceglierle, le persone. E le ragioni, le sfide. Ma a tutti dava qualcosa. E tutti, in partenza, ricevevano la stessa considerazione.
Daniela, qualche giorno fa, ha regalato una raccolta di libri che erano stati suoi alla biblioteca e alla nuova sala lettura del Villaggio Sant'Agostino: uno di quei luoghi dove sviluppare una cultura di comunità che per lui erano isole nell'oceano. «Sfogliando ogni pagina di questi libri ci ricorderemo sempre di lui» è stato scritto. Vale per chi non lo ha conosciuto. Chi invece ha avuto questa possibilità, potrà trasfonderla nel significato che una studentessa ha voluto dare, sul gruppo di Facebook a lui dedicato, a un arguto neologismo di sua invenzione: pizzigalliano. Ovvero: «Uomo dalla spiccata ironia, colto e pungente, ma mai arrogante o presuntuoso. Umile, gentile e perennemente sorridente».
Il trigesimo sarà a Martina Franca, nella Basilica di San Martino, oggi 23 agosto alle ore 19.00.
(Le foto provengono dall'archivio personale di Daniela Patriarca Pizzigallo, per gentile concessione, tranne l'immagine di spalle di Teo Pizzigallo mentre scherza con gli studenti scrivendo alla lavagna satabo invece che sabato, tratta dal gruppo su Facebook In memoria del professor Matteo Pizzigallo e realizzata da Ernest Jr Piccinini; quella che lo vede con Gaetano Carrozzo, alla sua destra, Mario Pennuzzi ed Enea De Arcangelis, alla sua sinistra, a Taranto durante una manifestazione per la pace, contenuta nel libro Taranto da Cito a Di Bello (1994-2006) di Giuseppe Stea; quella con Luciano Violante e Maria Miali a un incontro del Partito Democratico a Martina Franca).
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Pietro Andrea Annicelli