Tre uomini e un Festival
di Pietro Andrea Annicelli
23/07/2024 Editoriale
Il Festival della Valle d’Itria ha compiuto cinquant’anni. L’importante traguardo è stato celebrato con la serietà, la sobrietà, il coinvolgimento che l’evento meritava. C’era da aspettarselo da un’organizzazione collaudata, ben guidata da Michele Punzi, uomo di stile e di buon senso, e da Rino Carrieri, uomo di cultura vera.
L’unica nota negativa, a parer mio, sono state certe inattendibili amenità pseudo giornalistiche. In particolare, le fake news del Festival fondato, secondo qualcuno, da Paolo Grassi, da Franco Punzi, da tutti e due.
ALESSANDRO CAROLI: IL FONDATORE
Proprio Michele Punzi, invitando formalmente ad assistere alla prima della Norma la figlia Elisabetta, ha ribadito che l’Utopia della Valle, titolo del valido documentario di Leo Muscato al netto di qualche testimonianza poco pertinente, ebbe un’origine precisa: Alessandro Caroli. Fu lui, e non l’amato zio Franco o l’allora sovrintendente alla Scala di Milano, a ideare e a fondare il Festival della Valle d’Itria.
È vero che formalmente, nell’atto istitutivo del 1975, insieme al nome di Caroli compaiono anche quelli di Franco Punzi, sindaco e perciò primo firmatario, nonché di alcuni imprenditori benefattori e di colui che li aveva riuniti, il deputato e futuro sottosegretario Giuseppe (Pinuccio) Caroli, fratello minore di Alessandro. Fu però di quest’ultimo l’idea singolare, avanguardistica, quasi eretica, di fare un festival del belcanto in una città del sud dove la cultura musicale appassionava minoranze quasi carbonare.
Ad Alessandro Caroli (1927-2022), Paolo Grassi (1919-1981), Franco Punzi (1935-2023), il Festival deve la sua esistenza. Altri sono stati importanti: penso a Rodolfo Celletti, e non solo. Ma se il Festival ce l’ha fatta, il merito essenziale è della spinta che ha ricevuto, in diversi momenti della sua storia, da questi tre uomini.
Alessandro Caroli, colto ed elegante appassionato di musica e pianista mancato, viene da «famiglia preminente», come ha scritto Marco Ferrante in un saggio, ed è ben inserito nel potere democristiano dell’epoca attraverso Aldo Moro, di cui è collaboratore, e i fratelli Pinuccio e Antonio. A sua volta Paolo Grassi, che ha fondato il Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler e la moglie Nina Vinchi, è forse il più importante impresario teatrale d’Italia, un uomo di cultura internazionalmente riconosciuto e un importante esponente del potere socialista, oltre che cugino dell’influente senatore e ministro democristiano Giulio Orlando, eletto a Martina Franca in un collegio che era stato proposto anche allo stesso Grassi nel Partito Socialista Italiano.
Caroli fonda il Festival della Valle d’Itria e lo rende internazionale, dalla terza edizione, facendo rappresentare la Norma come prevede la stesura originale di Vincenzo Bellini e come è stata riproposta quest’anno. Paolo Grassi protegge e rinforza il Festival assicurando la presenza di cantanti importanti (uno per tutti: Luciano Pavarotti). I due non si capiscono. Troppo intellettuale il primo per il secondo. Troppo autoritario e sbrigativo il secondo per il primo. La loro collaborazione, tuttavia, funziona abbastanza finché Caroli, per ragioni personali e professionali, se ne va in Australia a dirigere una televisione in lingua italiana.
Alessandro Caroli, al centro, con Paolo Grassi (Archivio Benvenuto Messia, per gentile concessione)
FRANCO PUNZI: L’OUTSIDER CORAGGIOSO
L’ex primo cittadino è sempre stato onesto sul suo coinvolgimento nel Festival parlando di imposizione da parte di Grassi. Quando avviene, nel 1980, lui non è né un appassionato di musica, né un uomo di cultura, né un impresario. Già segretario del locale liceo classico, era direttore del locale Enaip (Ente nazionale Acli istruzione professionale), l’organizzazione formativa delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani. Grassi gli affida il Festival perché è il sindaco di Martina.
L’allora presidente della Rai avrà certamente rassicurato Punzi del suo personale sostegno: è un aiuto importantissimo, se non determinante. Ma un anno dopo, Paolo Grassi viene ricoverato a Londra per un’operazione al cuore. L’intervento non riesce, lui muore improvvisamente. È il 13 marzo 1981.
Provate a immaginare come può essersi sentito Punzi. Eppure non demorde. L’uomo si mette l’elmetto in testa e trasforma con tenacia il Festival in una trincea dove resistere. E imparare, con umiltà feconda e resilienza. Edizione dopo edizione lo consolida e ne assicura la continuità grazie alla direzione artistica di Celletti e l’aiuto, spesso volontario, di persone di sua fiducia tra cui i giovani Carrieri e Roberto D’Arcangelo, oltre all’insostituibile moglie Giuseppina.
Sono anni duri. Ero un giovanissimo cronista e me lo ricordo, Punzi sindaco, subire in Consiglio comunale i ricatti oltraggiosi dei consiglieri del suo stesso partito prima di ottenere, tardivamente, il via libera ai fondi per il Festival. Per non parlare delle tante chiacchiere in libertà sul Festival dei ricchi che non interessava la gente, e che quindi non valeva la pena finanziare con fondi pubblici.
Non riusciva proprio, a molti martinesi degli anni Ottanta ancora largamente dipendenti dagli stipendi assicurati dall’Italsider che avevano garantito l’accesso alla modernità nel decennio precedente, d’immaginare un futuro economico fondato sul turismo, l’agricoltura e l’allevamento di pregio, la cura del territorio, il terziario più o meno avanzato, con la cultura a fare da collante nelle sue varie espressioni. Fu anche questa, sia pure genericamente, la visione di Alessandro Caroli quando giustificò il senso della manifestazione a Martina. Un senso che, permeando una società e un’economia in seguito sempre più alla ricerca di alternative alla crisi siderurgica, è giunto fino a oggi.
Franco Punzi (a destra) con il nipote Michele, attuale presidente del Centro artistico musicale Paolo Grassi
LA FONDAZIONE PAOLO GRASSI
Certamente Franco Punzi, per il Festival, fu costretto a delle rinunce importanti. Un giorno mi disse: «A un certo punto ho dovuto scegliere: o facevo la politica, o mi dedicavo al Festival. Ho scelto il Festival».
Negli anni si è favoleggiato, forse mescolando la fantasia alla realtà (cioè Caroli che effettivamente cedette una masseria per saldare i conti della manifestazione), di proprietà immobiliari di Punzi e dei suoi amici vendute o ipotecate per pagare i fornitori quando i contributi pubblici erano a rischio o in ritardo. Non ho mai saputo se ci sia stato del vero e che cosa lo fosse. Si sia trattato anche soltanto d'una diceria, fa intuire, però, quale impresa notevole sia stata stabilizzare economicamente il Festival e proiettarlo nel futuro.
Nina Vinchi, donando la notevole biblioteca e una collezione di dischi pregevoli di Paolo Grassi al centro artistico musicale che ne porta il nome, e di cui Punzi era presidente, lo dotò d’un fondo che divenne una garanzia economica determinante per costituire la fondazione, diretta da Rino Carrieri, anch’essa intitolata al grande impresario. Avvenne nel 1994 insieme alla Regione Puglia, alla Provincia di Taranto, ai Comuni di Martina Franca e di Cisternino. Qualche anno dopo, Alessandro Caroli tornò a Martina. Trovò, prevedibilmente, un mondo cambiato. Per un intellettuale aristocratico legato ai classici, era complicato farne parte.
Verosimilmente Caroli avrebbe voluto riprendere un ruolo dirigenziale nel Festival. Ma la sua figura era estranea, anche generazionalmente, alla struttura costruita negli anni da Franco Punzi e dai suoi collaboratori. Vecchie ruggini, poi, tendevano a sminuire la figura del fondatore, visto come uno che aveva scelto di lasciare l’evento senza partecipare alla difficile opera di consolidamento che l’aveva ormai reso un appuntamento d’eccezione nel panorama internazionale della lirica.
Caroli rispose all’ostracismo mettendo nero su bianco in libri di memorie. Sono pagine preziose, sebbene rese dal suo personale punto di vista, perché consentono di ricostruire le idee, le motivazioni, le azioni che portarono a istituire il Festival della Valle d’Itria. La passione per la musica lo indusse, insieme ad amici, a fondare nel 2001 Il Parnaso delle Muse, associazione culturale destinata a promuovere in particolare i giovani talenti validamente gestita da Elena Casavola, insegnante e scrittrice.
La diplomazia di Franco Punzi (e, almeno in una circostanza, di Elio Greco) ha poi portato, nel tempo, a superare le incomprensioni. Nel 2017, per i novant’anni di Alessandro Caroli, Punzi invia un telegramma a sua firma: «Nella ricorrenza del novantesimo anno di età al presidente fondatore gli auguri sinceri anche a nome dei collaboratori del Festival della Valle d’Itria et Fondazione Paolo Grassi auspicando lunga vita in ottima salute nell’armonia della bella musica».
Elisabetta, Alessandro e Giuseppe Caroli nel 2017 in occasione dei novant'anni del fondatore del Festival della Valle d'Itria
Oggi che i tre grandi artefici non ci sono più e il Festival è definitivamente entrato a far parte non solo del cuore degli appassionati, ma delle eccellenze considerate da tutti i martinesi o quasi, senza contare la rilevanza che riscuote in ambito nazionale e internazionale, si può ben guardare all’avventura che lo ha realizzato dando a ciascuno dei protagonisti la rilevanza che merita. Senza Caroli, il Festival non sarebbe stato inventato. Senza Grassi, non avrebbe avuto quella figura di rilevanza nazionale e internazionale che lo ha garantito quando era troppo fragile. Senza Punzi, non sarebbe arrivato fino a noi.
Queste righe non ne ricostruiscono la storia e non menzionano, se non qualcuno, tutti gli uomini e le donne che hanno permesso alla manifestazione di esistere. Caroli, Grassi, Punzi, sono riusciti nel loro intento perché altri li hanno coadiuvati, mobilitando energie e risorse che consegnano alla città un elemento essenziale della sua identità contemporanea e della sua immagine nel mondo.
Il dovere di chi gestisce l’evento, di chi se ne avvale, di chi lo apprezza, è quell’orgoglio operoso che è a fondamento delle cose migliori che si realizzano a Martina Franca.
Cara lettrice, caro lettore,
Cronache Martinesi fa un giornalismo di provincia ma non provinciale secondo l'idea plurale, propria di internet, che ogni punto è un centro. Fare del buon giornalismo significa fornire a te che ci leggi delle informazioni sui fatti e sul loro approfondimento. Richiede professionalità, fatica e ha un costo. Cronache Martinesi vuole continuare a proporre un'informazione libera e indipendente. Se ti piace quello che leggi, puoi liberamente contribuire con una somma, anche minima, tramite PayPal. Ci aiuterà a fare sempre meglio il nostro lavoro. Grazie.
Pietro Andrea Annicelli