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Piero Marinò e il trullo più antico

di Redazione

18/07/2020 Cultura

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Piero Marinò e il trullo più antico

 

«Era un’idea che accarezzavo da molti anni. Per decenni ho accumulato foto e diapositive delle costruzioni in pietra nel territorio e ne avevo da parte migliaia. Da insegnante e da preside accompagnavo i ragazzi nelle loro escursioni. Due anni fa l’Unesco ha iscritto l'arte dei muretti a secco nella lista degli elementi immateriali dichiarati patrimonio dell'umanità perché rappresentano “una relazione armoniosa fra l'uomo e la natura”. Allora ho pensato: adesso è il momento di fare un libro che mostri l’arte della pietra, cioè l'architettura a secco della Valle d'Itria e dintorni». Piero Marinò, storico e studioso del territorio, nelle scorse settimane ha pubblicato per i tipi di Arte Baria il suo ultimo lavoro: Monumenti senza tempo. Un volume pregevole, come ci ha abituato: grande formato, trecentocinquanta pagine, oltre seicento immagini ad alta risoluzione.   

Praticamente hai illustrato, nel tuo lavoro, un’intera civiltà della pietra che dura da centinaia se non migliaia di anni nonostante gli stravolgimenti recenti.

«Ho affrontato questo discorso di riscoperta visiva in maniera ampia: dolmen, menhir, specchie, muretti a secco che delimitavano proprietà private, trulli, masserie con il relativo arredo litico: le fogge, le pisare, le pile, le scalette in pietra. Ho illustrato alcune decine di masserie e iazzi. C'è lo Iazzo Basile, vicino alle antenne della Rai, costituito da un complesso di quindici trulli uno accanto all'altro e intercomunicanti: poteva ospitare alcune centinaia di pecore. Fino a quarant'anni fa gli iazzi erano ancora attivi. Nel libro ho anche parlato della speculazione edilizia che ha rovinato il territorio negli anni Settanta e Ottanta: già allora denunciavo la distruzione della civiltà rurale. Ho foto in bianco e nero di trulli oggi scomparsi nella periferia di Martina. C’è poi la mancanza di sensibilità e di gusto che ha portato molti proprietari a guastare i trulli ricostruendoli con pietra non tipica del territorio».     

La novità è il trullo finora più antico di cui sia stata documentata esattamente la data.

«Ovunque sia andato nelle mie escursioni per fare questo libro, ho cercato date, incisioni, epigrafi. Ho chiesto ai proprietari di Masseria Motolese, in contrada Motolese a cinque chilometri da Martina, se ci fossero delle date nelle strutture della costruzione. Mi aspettavo, nel migliore dei casi, date seicentesche. Ho verificato e ho trovato l’architrave di un trullo con due date incise nella pietra. Una del diciannovesimo secolo, indicativa d’un ampliamento dell’intera costruzione che aveva coinvolto quel trullo. L’altra diceva chiaramente: 1441». 

Ed era riferita al trullo?

«Si. Quel trullo è nato come unico. Inizialmente, attorno non aveva niente, Successivamente, credo nell'Ottocento, sono stati costruiti altri trulli. Evidentemente le esigenze erano cambiate: la masseria era stata ampliata e occorrevano più pagliai e stalle. Il trullo è stato così manomesso. In origine era a pianta rotonda e i trulli a pianta rotonda sono più antichi perché quelli a pianta quadrata sono stati costruiti a partire dal Settecento. È il più antico di cui sia stata documentata la data con esattezza perché il trullo di Contrada Marziolla, verso Laureto, ha tre numeri che si leggono appena. I primi due sono sicuramente 1 e 5. Il quarto è 9. Il terzo, invece, non si capisce bene se sia un 5 o un 2. In ogni caso, che si tratti del 1559 o del 1529,è posteriore al trillo di Masseria Motolese». 

E adesso?

«Questa mia scoperta semi casuale ha incuriosito un ingegnere appassionato delle specificità del territorio, Fedele Capolongo, che mi ha messo in contatto con un docente di Geologia dell’Università di Bari, il professor Giuseppe Mastronuzzi. L’obiettivo comune è verificare il periodo esatto di costruzione del trullo attraverso l’analisi del carbonio 14 che è possibile fare a Brindisi. Questo trullo ha una porta bellissima e antichissima. Inoltre, nella parte interna c’è una trave per il legno. Ed è anche possibile che negli incassi dell’architrave sia rimasto qualche frammento del legno originario. I proprietari, la famiglia Sardella di Monopoli, ci ha dato il permesso di prelevare qualche campione dalle nicchie, dall’architrave e dalla porta. Vedremo che cosa verrà fuori da questa ricerca». 

Ma qual è l’origine del trullo?

«C'è chi sostiene che sia un modello costruttivo importato dall'Oriente o dal nord Africa, dove costruzioni analoghe ai trulli sono fatte con la sabbia impastata. Lo stesso Cesare Brandi ricorda costruzioni similari viste in Cappadocia e in Siria. Sicuramente la Puglia ha assorbito grandi influssi culturali dall'Oriente. Il trullo ha poi avuto un'evoluzione specifica nel nostro territorio. In origine erano costruzioni monocellulari che servivano da ricovero per i pastori o da deposito per gli attrezzi agricoli. Poi diventano sempre più numerosi. L'attività economica principale della Valle d'Itria era l'allevamento: pecore, capre, mucche, cavalli. C’era bisogno di stalle e da qui si sviluppò la realizzazione degli iazzi». 

Quanto potrebbero essere antichi quelli nella valle d’Itria e dintorni?

«Potrebbero essercene altri del millequattrocento perché Alberobello comincia a essere costruita alla fine di quel secolo. Per la stessa ragione è molto difficile che ce ne siano di precedenti. La data è un certificato d'identità in una costruzione. Ad esempio, i trulli in contrada Piovacqua sono molto antichi, e lo si capisce dalle forme e dalle tecniche costruttive, ma come faccio a dire se sono del quattrocento, successivi o addirittura antecedenti? Il trullo della Masseria Motolese ha la volta ogivale, cioè un cono ricurvo. Non c'è una base e una volta: è un tutt'uno. Questo è il modello della tomba a tholos di Atreo a Micene, che si ritiene essere l'archetipo del trullo. Ma l'archetipo vero e proprio è la capanna: inizialmente fatta di vegetali, poi di legno, poi di pietra. Il trullo non è che una capanna di pietra. Dati i tempi, ci si è ingegnati con le risorse che l'ambiente forniva. Il salto di qualità, dalle nostre parti, è stato questo». 

Possiamo aspettarci delle altre scoperte analoghe?

«Mai dire mai. Ci vuole fortuna, anche. Bisognerebbe scandagliare il territorio palmo a palmo. Un mio amico fece un lavoro con la sabbiatrice su un portale per rimuovere delle incrostazioni e spuntò la data di costruzione: 1670. A Martina ho fatto un elenco dei portali imbiancati a calce: sotto vi sono epigrafi in latino. Quell’elenco l’ho protocollato in Comune due anni fa in attesa di qualche progetto d’intervento. Aspetto ancora la risposta».

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