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Direttore Pietro Andrea Annicelli

Effetto Vinci

di Pietro Andrea Annicelli

31/05/2019 Politica

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Effetto Vinci

 

Fratelli d'Italia vince, il Partito Democratico tiene, Forza Italia resiste, Lega e Cinque Stelle così così. Questo hanno detto, al netto delle interpretazioni semplicistiche, i dati disaggregati delle elezioni europee insieme alle vicende della politica cittadina.

Ogni raffronto deve partire dai numeri complessivi. Il 26 maggio i votanti sono stati 19.392 (48,79%) su 39.748 elettori. L'anno scorso per la Camera sono stati 28.836 (72,24%) su 39.917. Nel 2017 per le comunali sono stati invece 29.379 (69,72%) su 42.136. Alle europee ci sono stati quindi 9.444 votanti in meno rispetto alle politiche, 9.987 rispetto alle comunali (dati del Dipartimento per gli Affari interni e territoriali del Ministero dell'Interno).

 

LEGA SLEGATA

Due anni fa il comizio sullo Stradone di Matteo Salvini, la sua passeggiata tra le aziende nella zona industriale e i selfie con i fans portarono ad Angioletto Gianfrate, il primo a fiutare la resistibile ascesa del capitano d'acqua dolce, la miseria di 857 voti personali come candidato sindaco e 636 per la lista Noi con Salvini. Un anno fa la scritta Salvini premier sotto il tradizionale simbolo fake di Alberto da Giussano, il capo mai esistito della Lega lombarda nella battaglia di Legnano del 1176, ottenne 1.880 degli 11.273 voti a Gianfranco Chiarelli nella sfortunata ricandidatura alla Camera. Questa volta lo stesso simbolo ne ha ricevuto ben 5.389 (29,12%), rendendo la Lega la forza politica più votata a Martina. Perché, allora, non dovrebbe cantare vittoria?

Il 10 maggio l'intero gruppo consiliare di Forza Italia, cioè l'ex candidato sindaco Pino Pulito, il coordinatore cittadino Giacomo Conserva, Pasquina D'Ignazio e Mauro Bello, si arruolava con l'ex comunista padano del centro sociale Leoncavallo (la prima riconosciuta attività politica di Salvini). Le ragioni: da un anno Forza Italia è ferma, nessuno ci ha più contattato per fare politica dopo la cacciata da commissario regionale del nostro amico Gino Vitali, Salvini ci piace perché non è più antimeridionale tant'è che la nuova Lega è un altro partito rispetto a quella vecchia.

Premesso che a me pare che, se differenze ci sono, c'entrano forse con i 49 milioni da restituire allo Stato e il tentativo di emendarsi da anni di pittoresco antimeridionalismo, non si capisce perché Pulito e i suoi siano diventati salviniani proprio due settimane prima delle elezioni. A meno che non volessero contarsi per eventuali cadidature alle regionali (sicure) tra un anno e alle politiche (plausibili) dopo l'estate. Per farlo, si sono riposizionati nel più forte partito del Centrodestra. E pazienza se, di moderato, la Lega non salvaguarda neppure le apparenze.

Il giorno prima dell'arruolamento è circolato nelle e-mail dei giornalisti un comunicato stampa polemico e sarcastico, firmato genericamente i leghisti di Martina Franca, smentito però da Gianfrate, nel quale, in estrema sintesi, si delineava il seguente scenario: 1) Gianfranco Chiarelli, tramite Roberto Marti, senatore leccese della Lega, avrebbe lasciato Raffaele Fitto per andarsene con Salvini in cambio d'un collegio blindato alle prossime politiche (Chiarelli, interpellato, confermava abituali incontri conviviali a Martina con l'amico Marti e le rispettive famiglie, ma smentiva il resto); 2) Pino Pulito era mandato in avanscoperta, ricambiato con la candidatura alle regionali.

Volendo prendere seriamente la soffiata degli anonimi sedicenti leghisti, ma niente l'avvalora allo stato attuale, mi pare più credibile una candidatura di Pulito alla Camera con Chiarelli al Senato e alla Regione Giacomo Conserva, che ci puntava due anni fa se Pulito fosse diventato sindaco. Certo è che Gianfrate, che può reclamare l'anzianità di servizio nell'aver tirato la carretta prima che quel pollo di Luigi Di Maio facesse diventare Salvini quel che è, non pare uno che si farà da parte per votare, devoto, Pino Pulito. La devozione, si sa, Angioletto la riserva a Padre Pio ...

La conta ha dato il seguente esito. Pulito e i suoi hanno sostenuto Massimo Casanova, imprenditore balneare romagnolo che Ravenna Notizie definisce «uno dei cavalli di troia della penetrazione di Salvini nella terra dei trulli». Principale suffragato nella Circoscrizione Sud dopo il capitano d'acqua dolce con oltre sessantamila preferenze, Casanova è stato anche il più votato a Martina con 1.555. Gianfrate ha invece preferito Andrea Caroppo, beneficiato da 620 consensi che paiono parenti stretti di quelli alle comunali. Salvini ha avuto 1.232 preferenze. Tutte insieme fanno 3.407. Considerate le 312 distribuite tra i restanti quindici candidati leghisti, rimangono 1670 voti al solo simbolo che richiamano i 1.880 di lista a sostegno di Chiarelli un anno fa.

 

IL NEMICO DI FRANCO ANCONA: IL FUOCO ... AMICO

La somma complessiva dei voti dei partiti del Centrodestra è 10.246: ai 5.389 della Lega si sommano i 2.476 di Forza Italia e i 2.381 di Fratelli d'Italia. Un anno fa la somma delle liste a sostegno di Chiarelli, quattro con Noi con l'Italia-Unione di Centro, fu 10.738. Due anni fa, al primo turno delle comunali, la somma dei voti alle dieci liste dei tre candidati sindaci che si riconoscevano in posizioni di centrodestra, cioè Pulito, Gianfrate ed Eligio Pizzigallo (che assorbì anche qualche migliaio di voti moderati tendenzialmente di centrosinistra), fu invece 17.755.

I dati delle politiche e delle europee convergono perchè distribuiti tra forze analoghe. Anche considerando la netta flessione dei votanti, la sensazione è che non stia montando un'ondata leghista come, un anno fa, avvenne con il Movimento 5 Stelle. La performance salviniana sembra più una conseguenza del momento o, se preferite, d'a nuttata che ha da passà. In elezioni comunali, che esprimono le vere appartenenze, tutti gli equilibri ritornerebbero in gioco.

Il risultato di Franca Pulpito ne è l'esempio. Due anni fa la consulente del lavoro fu candidata sindaco per i pentastellati ottenendo 1.176 voti e sfiorando l'ingresso in Consiglio comunale. Il Movimento si fermò a 929. Se i 7.689 voti d'un anno fa al M5s rappresentarono l'eccezione del momento, i 3.575 del 26 maggio paiono un significativo riscontro. Al simbolo, però. Quello personale della Pulpito è inferiore al 2017: solo 852 preferenze. È la conferma di come a forze politiche liquide corrisponda un consenso liquido: solo le amministrative esprimono equilibri di forza plausibili.

I 3.124 voti ottenuti dal Pd rispetto ai 4.302 delle politiche e i 5.501 delle amministrative rappresentano a loro volta un dato abbastanza costante, con una flessione lo scorso anno dopo la crisi del partito innescata a livello nazionale da Matteo Renzi ma contenuta dal buon risultato personale, 7.385 preeferenze, di Donato Pentassuglia alla Camera. Questa volta lo scarso appeal delle europee e la mancanza d'un candidato locale ha fatto restare a casa molti democratici. Ma non c'è stato un vero indebolimento. Anzi Franco Ancona, se dovesse preoccuparsi della non opposizione in Consiglio comunale di Pulito & Co., potrebbe dormire tranquillo. I rischi vengono, come al solito, dal fuoco amico, oltre che dalla ben nota tendenza dei democratici a farsi male da soli.

 

DI MARRAFFA IN MARRAFFA

Il brand di Forza Italia, che secondo Vittorio Sgarbi assomiglia alla pubblicità d'un olio per auto, mantiene inalterato il suo fascino per Michele Marraffa, che aveva più o meno lasciato il partito nel 2012 dopo essere stato prima sacrificato, poi buttato a mare nelle amministrative contro Ancona dalle scempiaggini di Lino Nessa. Da allora l'imprenditore di autotrasporti ha variamente tentato di reinserirsi nel gioco politico con il movimento IdeaLista, senza però grandi risultati.

La politica dev'essere per lui un dente avvelenato se, dopo gli eccellenti risultati internazionali della sua azienda, continua a dedicargli tempo ed energie. Dopo essere stato sospettato d'aver sostenuto il suo antico avversario Ancona nel ballottaggio di due anni fa, l'inizio della fine politica per Gianfranco Chiarelli, Marraffa è diventato, con IdeaLista, l'opposizione extraconsiliare all'Amministrazione comunale, svolgendo una funzione supplente alla neghittosità di Pulito & Co. E non appena si è reso vacante il contenitore Forza Italia, non si è lasciato scappare l'occasione di andarlo a riempire.

Una settimana dopo l'esodo del gruppo consiliare nella Lega, Marraffa è stato designato commissario cittadino di Forza Italia dai vertici regionali e provinciali dai quali Conserva e Pulito, a loro dire, erano stati snobbati. Faceva festa Carlo Zito, segretario di IdeaLista: «La nomina di Michele Marraffa è la naturale evoluzione di un progetto politico finalizzato a ricostruire il Centrodestra martinese».

Nell'attesa fiduciosa, le europee non hanno svuotato di consensi Forza Italia a vantaggio della Lega com'è avvenuto nel resto d'Italia. Alle comunali il partito aveva ottenuto 2.810 preferenze, novantaquattro in meno del Movimento Pino Pulito, cioè i voti fidelizzati al candidato sindaco che alle europee dovrebbero essere più o meno andati a Casanova e a Salvini. Se i 6.863 d'un anno fa erano un dato ascrivibile sostanzialmente alla candidatura di Chiarelli per la Camera, i 2.476 delle europee, tenuto conto del ridotto afflusso alle urne, rappresentano per Marraffa, e per il responsabile provinciale degli enti locali Mario Caroli, un buon punto di ripartenza, anche se servirà molto di più per concretizzare l'unità del Centrodestra evocata da Zito. Più che le regionali e le politiche, anche se è facile immaginare che Marraffa aspiri a un seggio in Parlamento, dovrebbero essere le prossime comunali l'orizzonte d'un partito che, al netto dei prevedibili cambiamenti per garantire la successione a un Silvio Berlusconi ottuagenario che pure a Martina ha ottenuto 1.087 voti personali, sembra poter avere ancora un futuro.

 

VINCI: NOMEN OMEN

Ci ha pensato Fratelli d'Italia a calare un inaspettato asso nella manica: la candidatura, chiesta con lungimiranza da Giorgia Meloni e avallata dal coordinatore cittadino, Giuseppe Chimienti, di Lucrezia Vinci.
Agente assicurativo e dottore commercialista, proveniente da una famiglia d'imprenditori delle confezioni, donna semplice e spontanea, bella presenza, moglie (dell'ex sindaco Leonardo Conserva) e madre insieme moderna e tradizionale, la Vinci aveva anche una discreta esperienza per aver coadiuvato il marito nelle campagne elettorali. Se Salvini, corteggiando l'oltranzismo fascistoide di Casa Pound, è diventato su scala nazionale un collettore d'umori anche dell'estrema destra, a Martina la Meloni ha concretizzato, vent'anni dopo, l'antica lezione di Pinuccio Tatarella di andare oltre l'allora Polo delle Libertà: aprire cioè alla società civile non catalogabile secondo gli stretti vincoli identitari della politica militante.

Era chiaro a tutti i candidati che nessuno aveva molte possibilità tranne la Meloni e Fitto, che peraltro tornerà a Bruxelles e a Strasburgo da primo dei non eletti perché la presidente di Fratelli d'Italia sceglierà il seggio in un'altra circoscrizione. La Vinci, ultima a firmare la candidatura, è partita da perfetta sconosciuta in sei regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria) avendo poco più d'una ventina di giorni per la campagna elettorale. In questo breve tempo è riuscita a farsi apprezzare nei luoghi in cui ha incontrato i circoli di Fratelli d'Italia e a Napoli, dove è stata in prima fila accanto all'eurodeputata Elisabetta Gardini a reggere lo striscione capofila nella manifestazione nazionale del partito il 19 maggio (nella foto). La sua empatia è stata efficace nello stabilire relazioni. Alla fine sono state 4.998 preferenze di cui 1.180 a Martina: Fitto, a cui pure Gianfranco Chiarelli aveva organizzato un incontro con i principali imprenditori della zona industriale, si è fermato a 768.

Fratelli d'Italia, che alle comunali aveva ottenuto appena 600 voti (2,27%) diventati 914 alle politiche (3,77%), con 2.381 consensi (12,87%) tallona Forza Italia (13,38%). Proprio le preferenze alla Vinci, terza assoluta dopo Casanova e Salvini, insieme al dato del partito, ridimensionano il risultato leghista. Da una parte c'erano quattro consiglieri comunali in carica tra cui un ex candidato sindaco la cui lista personale, due anni fa alle comunali, aveva sfiorato i tremila voti, e lui ne aveva ottenuti 8.374 a suo nome. Dall'altra una neofita della politica, sconosciuta ai più, in un partito che non aveva superato i mille voti nelle elezioni a cui aveva partecipato. 

Qualcuno può pensare che Lucrezia Vinci debba almeno parzialmente l'eccellente risultato a suo marito Leonardo Conserva. È vero nella misura d'una normale sinergia tra due che stanno insieme da oltre trent'anni, con uno che per quattordici ha fatto il consigliere provinciale e il sindaco di Martina. La Vinci l'ha riconosciuto in un affettuoso passaggio del suo ringraziamento agli elettori: «Un grazie, infine, a mio marito, del cui sostegno e della cui esperienza politica non avrei potuto fare a meno». Ma sbaglierebbe chi la immaginasse come una derivazione d'un Leonardo Conserva abilmente dietro le quinte. Ciò non solo per l'autonomia e la brillantezza dimostrate, ma per l'intelligenza dell'ex sindaco, lontano da impegni istituzionali ormai dal 2009 e che l'anno scorso si era riaffacciato alla politica aderendo a Fratelli d'Italia, nell'assecondare la volontà e la capacità di far politica della moglie dandole il suo apporto senza personali ambizioni o intrusioni. Ha così contribuito a consegnare allo scenario politico cittadino, e non solo, una figura nuova e fresca in un'area di Centrodestra ancora largamente poco credibile.

Lucrezia Vinci continuerà a fare politica. E, anche con lei, Fratelli d'Italia non solo può aspirare a riprendere il progetto d'una destra moderna ed europea che fu di Alleanza Nazionale, ma può porsi come propaggine ragionevole del fronte sovranista e contribuire a ricostituire a Martina un progetto politico di centrodestra non egemonizzato dai referenti del titolare del Papeete Beach di Milano Marittima.

 

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