Due o tre cose su Stefano Coletta
di Pietro Andrea Annicelli
30/04/2018 Editoriale
Stefano Coletta ha molti difetti e pregi. È impulsivo, testardo, vanitoso. Ma anche instancabile, intelligente, caparbio. È una delle migliori espressioni della recente politica martinese. Augurarsi che egli esprima al meglio le sue potenzialità dovrebbe essere un sentimento di tutti i cittadini interessati al bene comune.
Coletta, in quello che fa, ci getta il corpo, il cuore, la mente. E ci mette la faccia. Perciò, in questo momento di difficoltà, merita rispetto e simpatia. E critica costruttiva, non la macchina del fango di qualche delinquente mediatico.
Il vice sindaco dimissionario, rispetto alla causa delle dimissioni, ha ragione sul contesto, torto nella vicenda specifica. Già Nunzia Convertini, capogruppo consiliare del Partito Democratico, aveva avuto parole dure verso certa burocrazia comunale che rallenta il processo amministrativo. Poi s’era lamentato l’assessore Gianfranco Palmisano. Infine Coletta, entrato in rotta di collisione con una dirigente per la tempistica d’un provvedimento.
C’era il sindaco e non è intervenuto. Se è esatto quello che mi hanno raccontato, Coletta ha frainteso interpretando il suo silenzio come acquiescenza alla dirigente. Il sindaco era invece consapevole che, forzando rispetto alle prerogative dei rispettivi ruoli, si rischiava d’incorrere in un potenziale abuso d’ufficio. Il suo vice non se n’era accorto perché è un generoso in buona fede. Ed essere senza malizia rispetto alla volontà di risolvere i problemi fa trascurare, a volte, il vincolo delle competenze rispetto all’obiettivo.
Se così è, la sfuriata delle dimissioni è la reazione passionale d’un amministratore che, dicono quelli a lui vicini, lavora anche dodici-quattordici ore al giorno. Nessuna crisi nell’Amministrazione comunale, quindi. Il manuale della buona politica prevede che una storia così si risolva con una bella chiarificazione a porte chiuse e qualche sincera stretta di mano senza troppe spiegazioni da dare all’esterno. Altro che la tesi demenziale delle dimissioni di Franco Ancona perché, avendo perso il sostegno di Coletta, non sarebbe più legittimato in termini di consenso democratico, come ha affermato qualche laqualunque. Premesso che Coletta non ha mai detto di voler lasciare il Partito Democratico e il Centrosinistra, e che il consenso si riscontra nelle elezioni per cui Ancona ha tutte le carte in regola, se valesse tale improvvida teoria Franco Palazzo, eletto sindaco al primo turno undici anni fa, avrebbe dovuto dimettersi il giorno stesso del primo consiglio comunale, quando la sua maggioranza votò contro il suo programma amministrativo.
Resta il problema del rapporto tra l’esecutivo e la burocrazia. L’Amministrazione Ancona è tornata in servizio dopo un anno di gestione commissariale trovando una situazione precaria e confusa. Il Suap, ad esempio, era da ricostituire. C’era il servizio rifiuti da attivare, problema di cui si è occupato direttamente Coletta in continuità con il suo precedente mandato. La struttura dirigenziale e burocratica era a due velocità, con uffici capaci di lavorare al ritmo dell’esecutivo, altri abituati alla tradizionale flemma di chi ha lo stipendio assicurato a fine mese.
Il sindaco ha cercato di tamponare effettuando degli spostamenti del personale, ma il problema non è ancora stato risolto. Da qui l’irritazione nell’esecutivo, che pare essersi dovuto confrontare con allusioni alla giovane età di alcuni assessori oltre a resistenze spocchiose. E con la politicizzazione, forse, di qualche ufficio che avrebbe preferito amministratori più gestibili.
Ciò non toglie che la riforma Bassanini della pubblica amministrazione, vecchia ormai di ventun anni, definisca chiaramente ruoli e compiti: la politica deve fornire l’indirizzo amministrativo assegnando gli obiettivi, il personale deve cercare di raggiungerli. L’assessore non può e non deve sostituirsi al dirigente: neanche perseguendo il lodevole intendimento di accelerare le procedure. Se poi il personale non fa il suo dovere, ci sono i provvedimenti disciplinari previsti dalla legge.
Coletta ha fatto male a dimettersi alla vigilia del primo bilancio interamente dell’Amministrazione Ancona e con la raccolta differenziata in campagna appena avviata. Se questa scelta infelice dei tempi è una conferma della sua sincerità priva di calcolo, il lavoro lasciato in sospeso dovrebbe suggerire quel senso di responsabilità che, se ce ne sono le condizioni, fa ritornare sui propri passi senza inutile orgoglio. L’opposizione consiliare fa bene a chiedere chiarezza sul percorso dell’esecutivo. Certi suoi sostenitori, però, invece che ingaggiare nei social network una sterile guerriglia di parole, farebbero una figura migliore a pretendere dai loro referenti politici l’organizzazione d’una classe dirigente seria e nuova, in grado di competere con gli attuali amministratori sulla qualità dei provvedimenti.
Tra i suoi meriti, Coletta ha l’aver ricondotto nella buona politica certe spinte movimentistiche che a Martina, essendoci lui, non hanno trovato sfogo nel Movimento 5 Stelle e nella Lega. Si sono invece potute esprimere nel tentativo di rinnovamento in atto. Criticabile con le giuste argomentazioni, ma innegabile.
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Pietro Andrea Annicelli