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Direttore Pietro Andrea Annicelli

Stefano Coletta, cinque anni dopo

di Pietro Andrea Annicelli

02/10/2023 Politica

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Stefano Coletta, cinque anni dopo

 

Stefano Coletta, dopo la fine della sua esperienza come amministratore, ha ripreso i libri in mano. Si è laureato, poi si è riqualificato professionalmente. È andato lontano da Martina, ma non ha smesso di osservare la sua città con occhio critico. Adesso ha più competenze ed esperienze. Vale di più. 

Dopo la tua inopinata estromissione dall'Amministrazione Ancona cinque anni fa, molti si aspettavano un tuo ritorno in politica mentre invece ti sei dedicato a te stesso completando gli studi universitari e acquisendo delle competenze, come peraltro ti sollecitavano a fare sia persone che ti volevano bene, sia, strumentalmente, persone che ti vedevano come un ostacolo alle loro ambizioni politiche. A che punto è la tua vita? Chi sei oggi?

«È importante precisare che nel 2019 ho deciso, con grande sofferenza ma altrettanta determinazione, di dimettermi da vicesindaco. Nessuno mi avrebbe estromesso se non l’avessi deciso prima io. Semmai l’estromissione è stata successiva, quando a gran voce mi si chiedeva di rientrare con tanto di documento ufficiale del Pd che sollecitava al sindaco Franco Ancona di rinominarmi vicesindaco. Ma una buona parte di consiglieri, assessori ed esponenti politici disse al sindaco stesso di non gradire il mio ritorno. Un eventuale compromesso avrebbe potuto essere un ridimensionamento della mia posizione con la rinuncia al ruolo di vicesindaco, cosa che, per ovvi motivi, non sarebbe potuto accadere sia perché il rapporto era ormai incrinato, sia perché quel ruolo me l’ero guadagnato con i fatti e con i voti, quindi era quasi la città a volerlo. Il sindaco, unico deputato a nominare e rimuovere gli assessori, non prese posizione dicendo, giustamente o meno, che quello in corso sarebbe stato il mandato dove a contare sarebbe stato il Consiglio comunale che, a sua volta, era deputato ad approvare il Piano urbanistico generale. Non volendo pertanto incrinare i rapporti con i consiglieri, il sindaco decise di non intervenire. Di primo impatto rimasi deluso dal suo comportamento, ma con il tempo e le giuste letture ho capito che i responsabili della mia questione, e di altre difficoltà che lo stesso sindaco successivamente ha incontrato, erano da ricercarsi altrove: tra chi fingeva di sostenerlo e magari non voleva che salisse nemmeno sui palchi delle comunali del 2022, ad esempio. Le motivazioni delle mie dimissioni furono molteplici e radicate nel tempo, anche prima delle elezioni del 2017, ma se posso riassumerle in breve furono dovute alla poca collaborazione che avevo nel mio lavoro da parte della gran parte dei consiglieri i quali, nonostante continuamente invitati, a posteriori pretendevano di modificare le decisioni che per forza di cose dovevano essere prese. Era quasi un tentativo di bloccare la mia azione politica e di delegittimarla. In quelle condizioni, dovendo, come unico scopo, dare risposte ai cittadini votanti e non, non ero più in grado di darle. La mia dignità e il fatto di metterci la faccia in ogni occasione venivano prima d’una poltrona e di uno stipendio. Del resto, solo chi è realmente libero e autonomo economicamente può rinunciare a un incarico così di prestigio, guadagnato con le battaglie e con la fatica, di cui andavo orgogliosissimo». 

Le precisazioni sono molto gradite: le risposte alle domande, anche.

«Nella vita non ci si ferma di fronte alle difficoltà. Dopo un iniziale periodo di sofferenza, credo normale dopo gli anni dedicati alla politica e sottratti ai momenti più belli della vita, decisi di riprendermi tutto ciò che avevo messo da parte, peraltro con gli interessi. Per cui mi sono laureato in Giurisprudenza e ho da poco terminato un master di secondo livello in Economia e Management sanitario con una tesi sul reporting di sostenibilità nelle aziende sanitarie e una bellissima esperienza presso il controllo di gestione del Policlinico di Padova. Ne esco diverso ovviamente: rafforzato nella convinzione che per intraprendere qualsiasi tipo di percorso per la comunità è necessario studiare tanto, dovendo avere a che fare con il valore pubblico: concetto a me molto caro e recepito negli studi più recenti. Una cosa di cui mi accorgo oggi è che la cultura e lo studio sono due ingredienti obbligatori per svolgere ruoli di pubblica utilità perché condizionano positivamente il tuo operato. Sono infatti sicuro che molte scelte politiche ed amministrative del passato, giuste o sbagliate che fossero, le avrei fatte con altro piglio e altri procedimenti. È bellissimo essere giovani e servire il proprio paese, ma bisogna avere anche l’umiltà d’imparare e di sapere che esiste un momento giusto per fare le cose: probabilmente, seguendo i consigli della mia famiglia, avrei prima dovuto terminare gli studi, avere una mia stabilità e poi dedicarmi alla politica. Sai qual è il rischio, poi? Da un lato, di essere impreparati ad affrontare le difficoltà politiche ed amministrative e far governare così altri o la burocrazia. Dall’altro, la dipendenza economica. La politica è una passione. È una scelta di servire la propria città, regione o nazione, non un lavoro. Chi vive di sola politica e, ahimè, ce ne sono tanti, non sarà mai libero perché tenderà a conservare il posto e ad accettare compromessi: i veri nemici della trasparenza, del rispetto del programma elettorale, delle scelte giuste o ideali che si sarebbero fatte se non si fosse accettato di restare ancorati alle poltrone per accontentare i desiderata, magari legittimi ma inopportuni, del politico di turno che garantisce i numeri in Consiglio comunale».

Quindi?

«La lezione di vita è stata questa: ogni cosa ha il suo momento. La politica, che per me è una passione sconfinata, meriterà il giusto tempo: quando riterrò terminato il mio percorso di apprendimento e sarò sicuro di non doverne dipendere. Oggi sono molto orgoglioso di aver recuperato, seppur grandicello, ciò che avevo messo da parte. Era un sfida con me stesso e sono felicissimo di averla vinta. Ma non mi fermo qui. Di natura sono ambizioso e vorrei raggiungere obiettivi personali di qualità. Vorrei dare, se mi è permesso, un consiglio soprattutto alle nuove generazioni: fregatevene di ciò che pensano gli altri. Sentite voi stessi e le pochissime persone che realmente vi vogliono bene. Il giudizio degli altri è l’ultima cosa a cui pensare perché è importante essere se stessi e non quello che piace agli altri. Per anni ho subito l’idea di dover essere perfetto e di dover piacere a tutti, accettando comportamenti per quieto vivere. Spesso sentivo discorsi da parte di esponenti politici, alcuni dei quali si professavano anche di sinistra, d’una grettezza e d’una chiusura mentale incredibili. Mi chiedo come abbia fatto a rimanere silente e ad accettarli. Se potessi tornare indietro, mi dimetterei molto prima. Ma si sa: il tempo è galantuomo».

Stranamente, mentre si sollecitava a Coletta di completare gli studi e acquisire competenze, altrettanto non è stato chiesto a Gianfranco  Palmisano, la cui caratteristica politica passepartout, essere un fiduciario di Donato Pentassuglia, peraltro non risulta nel modesto curriculum reso pubblico.

«Del curriculum degli altri poco m’importa. M’interessa, semmai, da cittadino, che le azioni messe in campo siano positive per il territorio. Posso sicuramente dire che aver svolto un master di secondo livello e un corso di perfezionamento universitario sulla gestione della smart city assicurano conoscenze fondamentali per le azioni da mettere in campo. Non ci s’improvvisa politici: si studia per esserlo. Quando sentiamo dire che la politica deve essere vicina al popolo, che il vero politico è quello che viene dal popolo, beh: prestiamo molta attenzione. Un politico viene eletto per creare valore pubblico, un concetto che emerge con forza con i recenti sviluppi del new public management. È questo l’unico modo per essere vicini al popolo: mettere tutte le proprie competenze al servizio della gente e non certo sfilare a tutte le processioni: cosa legittima, purché non diventi il core business dell’azione amministrativa. Né fare gli sceriffi o a presenziare a tutti gli eventi. Quella è gestione dell’immagine ed è anche corretto che ci sia. Ma prima, nell’azione amministrativa, vengono sempre la competenza e la capacità di compiere la giusta scelta al momento giusto». 

In passato tu, lo stesso Palmisano e Nunzia Convertini sembravate, almeno in termini di esposizione mediatica, fare gioco di squadra. Cosa è restato di quel legame? E del tuo rapporto con il Partito Democratico?

«Per il bene della città si mettono da parte le legittime ambizioni personali e si fa squadra. Quando le ambizioni prendono però il sopravvento, viene meno la squadra e si rischia di fare del male alla città. Con loro ho avuto un ottimo rapporto per tanto tempo e gli auguro le migliori fortune personali ma soprattutto amministrative. Perché, se amministrano bene, il bene lo fanno alla città e quindi, egoisticamente, anche a me. Ad oggi c’è, da parte mia, sicuramente un rapporto di rispetto. Ci sono stati episodi spiacevoli, ma fanno parte del passato e in qualche modo ci si è chiariti. Dal Pd ho preso le distanze da tempo: non mi sono più riconosciuto in molti dei valori espressi. L’avvento di Elly Schlein e il ritorno di tematiche per me dirimenti come il rispetto dei diritti civili, le battaglie per il riconoscimento di tutte le libertà e delle libertà di tutti, italiani e non, il salario minimo, la legalizzazione delle droghe leggere e così via, mi fanno ben sperare. Ma al momento mi sento ancora distante. Apprezzo però che a Martina ci sia gente come Alba Lupoli, Maria Miali, Nanni Palmisano, coadiuvata da giovani in gamba, a portare avanti il partito. Con loro ho sempre avuto ottimi rapporti e credo che, se riuscissero ad orientare l’attività amministrativa e politica con le battaglie giuste che un partito riformista deve fare, avvicinerebbero tanta gente che oggi non si sente più rappresentata da nessuna parte politica. Ci sono temi che scottano non solo a livello nazionale, ma anche a livello territoriale: il nuovo appalto rifiuti, il Piano urbanistico generale, l’utilizzo delle risorse comunitarie, un nuovo concetto di turismo, l’attenzione verso l’universalismo dei diritti sociali, l’esistenza purtroppo dell’ex Ilva. Tutti temi che andrebbero presi di petto e portati all’attenzione delle parti politiche in Consiglio comunale, secondo la visione tipica di un partito di centrosinistra, riformista, europeista, attento all’ambiente e alla sostenibilità. Ma dove sono queste battaglie? Io mi affeziono alle battaglie. Quando ci saranno, chiunque le farà, sarò in prima linea a sostenerle: come sempre». 

Insomma, la politica ha ancora posto nelle tue legittime ambizioni.

«Assolutamente sì. Al momento giusto, però. E per giusto intendo quello necessario a sentirmi realmente pronto a livello di competenze e a sentirmi realizzato nella mia vita professionale. Il tempo giusto, infine, per creare una squadra di persone che creda in un progetto serio, aperto e civile. Sono molto motivato perché credo ci sia una parte della politica da sconfiggere non tanto elettoralmente, quanto nei modi. Gente che pur di vincere inventa storie incredibili, quasi diffamatorie, tentando così di scoraggiare l’avversario a candidarsi, di creare un alone di negatività e sospetto intorno alla sua persona. La mia scelta di non candidarmi sindaco alle ultime elezioni, come detto prima, dipese dal fatto che finalmente stavo pensando alla mia vita e al mio futuro, per quanto fosse stata realistica fino all’ultimo giorno la possibilità di scendere in campo. Ecco: non mi candiderei mai contro questa gente piccolissima nella dignità, ma semmai mi candiderò, quando sarà il momento, a favore dei cittadini per tentare di estirpare dalla politica locale questo pericoloso modo di fare che rischia di danneggiare la nostra libertà. Probabilmente qualcuno sapeva che con i voti avrebbe perso perché tante persone mi volevano bene, e spero che me ne vogliano ancora oggi. Quindi ha pensato di dover ricorrere a metodi alternativi di delegittimazione personale. Ma ha sbagliato obiettivo: chi è costretto a candidarsi per vivere non sono certo io. Ai posteri l’ardua sentenza». 

Si dice che la propria città la si veda e la si capisca meglio dopo un periodo di lontananza. Cosa vedi e capisci, oggi, di Martina?

«È verissimo. Quando si è lontani, si impara a vedere oltre il quotidiano di prima. Avrei decine di proposte su tanti temi: da questioni sociali a questioni prettamente tecniche come rifiuti, viabilità, strategie turistiche, rispetto degli animali, sfruttamento del suolo. Ma anche relativamente al modo di fare politica: più umano e sincero, senza scontri fratricidi, misurabile nelle performance attraverso la creazione di indicatori politici che consentano al cittadino di valutare scientificamente l’azione amministrativa. C’è tanto da fare. Ma vorrei, non appena sarà il momento, costruirlo direttamente con quelli che saranno i protagonisti: compagni di avventura e cittadini. Uniti, nelle differenze naturali che ci contraddistinguono, dall’amore verso la propria terra. E vi assicuro che, da questo profondo nord che è il Veneto, il nostro sud è invidiatissimo. Bisogna esserne coscienti, affiancarsi di persone per bene e preparate, ce ne sono davvero tante, e lavorare sodo».

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