Le canzoni e gli album più belli del 2021
di Mark Aymondi
07/01/2022 Musicando
La classifica delle canzoni e dei dischi preferiti non ve la propongo alla fine dell'anno ma all'inizio del successivo. Si riesce, così, a trarre le somme in maniera meno affrettata e a ponderare bene i giudizi. Non so se siano le canzoni e i dischi migliori, ma di certo quella che ho scelto è grande musica. Cliccate sui titoli per ascoltarla e vedere i video. Buona visione e buon ascolto.
CANZONI
1) COAST ROAD + I THINK I David Crosby
L’antico hippie l’estate scorsa ha compiuto ottant’anni. Li ha festeggiati con l’ottavo album solista e i cinquant’anni di If I could only remember my name, un disco immenso e iconico. Da un cd d’inediti accluso per l’occasione si rivela Coast road, una composizione densa, leggiadra, incantata, emblema d’una stagione irripetibile apparentemente baciata dal sole, ma con Crosby devastato dalla morte inaudita in un incidente d’auto della fidanzata ventunenne, inizio d’un dolore cronico che l’avrebbe portato a un passo dalla fine. Ho voluto unirla, per un raffronto più emotivo che stilistico, ad I think I, la canzone forse più bella del suo ultimo disco, realizzata con il figlio James Raymond e Steve Postell. L’effetto irraggiungibile è la magia senza tempo della gioia e della tristezza che David si porta dentro.
2) STILL GLIDES THE STREAM Paul Weller
C’è quasi sempre nei dischi di PW, anche quando non sono particolarmente ispirati, una ballata memorabile che si staglia, subito, come un classico del suo canzoniere. L’ultimo non fa eccezione. Impreziosita dall’orchestrazione sapiente, la canzone conclusiva di Fat pop ascende per energia sentimentale e senso morale. È un’elegia alla resistenza e alla resilienza de «l'uomo che non è mai stato» il quale «non ha mai venduto molto» perché «non era ciò che il pubblico voleva», ma che «sa di cosa ha bisogno il pubblico». Il talento contro la mistificazione. Il valore dell’espressione artistica contro l’intrattenimento compiacente. La chiave, sottintesa nel brillante video, è perseverare nella bellezza. Alla fine vale il titolo del dipinto, 1890, di Arthur Streeton che ha forse ispirato la canzone. Tradotto, dice: ancora scorre il ruscello, e per sempre scorrerà.
3) SHIVA WITH DUSTPAN Ryley Walker
Ammaliante canzone di chiusura d’un album a tratti memorabile, unisce la grazia e l’incanto dell’arrangiamento a un testo oscuro e drammatico («Gli occhi mi roteano dietro la testa per vedere un pignoramento bancario dall'interno») in cui intercorre, enigmatica, la figura di Shiva, il dio mutante della mitologia induista, signore del tempo e della dinamica eterna di distruzione e rigenerazione. Emozionante, morbidamente psichedelica, la musica evoca e instaura sensazioni piacevoli e bei paesaggi interiori grazie anche all’arrangiamento d’archi di Douglas Jenkins. Lo stato di coscienza finale è la fuoriuscita da un sogno in cui, stranamente, «una diva con le ottave /canta la preghiera nazionale». Ma non è essenziale inoltrarsi alla ricerca dell’esatto significato.
4) LA FRATTURA The Strange Flowers
Gli SF originari (tre quarti degli attuali) nacquero dalla fusione di due gruppi rock di Pisa nel 1987: i Chroma e i Marilyn Suicide. Prima di costituirsi i quattro registrarono il demo d’una canzone di Giovanni Bruno che non troverà spazio nella futura produzione. Trentaquattro anni dopo quella canzone è finalmente stata registrata a regola d’arte. Il riff è semplice e potente. Cantata in italiano, ha un arrangiamento vibrante valorizzato dal lavoro al mix di Alessandro Pardini. Michele Marinò canta con convinzione e passione. Anastasia Shuraeva da Pexels ne ha ricavato un video inquieto e pittorico. Il risultato è una delle migliori prove del gruppo, esempio di quello che può essere il vero rock fatto da italiani oltre le baracconate del sistema mediatico del rimbecillimento collettivo. Quasi indimenticabile.
5) UN’INCREDIBILE ESTATE Amerigo Verardi
La lunga introduzione d’ambiente, quasi due minuti, che raggruppa i ricordi prima dell’ingresso della chitarra acustica, fa partire una canzone essenziale nell’equilibrio narrativo dell’universo di Maila. AV canta trasognato l’incredibile estate «tra fiumi d’erba e scie di sale» librandosi con nostalgia gioiosa su sonorità psichedeliche d’un pianoforte in marcia alla Popol Vuh e di scoppiettanti fiati festosi canterburiani. Sembra di vederla, in un angolo della mente, la fantasmagoria onirica della carovana d’immagini incominciata con Maila che «indica le tazzine che girano» per terminare con «tutti in fuga da Atlantide». C’è spensieratezza, ma anche profondità, nell’atmosfera acquatica e solare dell’estate di Maila, in un tempo in cui la fantasia s’intreccia con la realtà, inconsapevole delle future asprezze dell’età adulta.
6) BURN BRIGHT Snowpoet
Il lirismo fluido ed espressivo della voce di Laureen Kinsella governa con passione rarefatta la linea melodica elegante e minimale d’una composizione sorprendente. Intarsi e insistenze di pianoforte intrecciano fantasie d’archi mentre è il cantato, talvolta recitato, a definire, dilatandosi, lo spazio e il tempo. C’è un’affascinante combinazione, un’arcana alchimia sonora, con il ritmo delineato dagli interventi del polistrumentista Chrys Hyson, quasi a dipingere un quadro pulsante e cangiante. L’attenzione uditiva viene catturata senza dover alzare i volumi, ma solo occupando, con soavi carezze melodiose, il silenzio e il vuoto. Quando la canzone è conclusa, la sensazione antica e che sempre si rinnova della bellezza assomiglia al movimento lento d’una nave in fondo all’orizzonte: finché dura, sembra non finire mai.
7) LEAVE THE DOOR OPEN Silk Sonic
Brandon Anderson e Bruno Mars hanno formato un superduo, Silk Sonic, e con questo nome hanno realizzato un album: An evening with Silk Sonic. L’esordio, a marzo, è stato questo irresistibile singolo romantico in stile rithm’n’blues e Philadelphia soul. Si tratta d’un invito amoroso a una ragazza immaginaria che si esprime visivamente in un video, diretto da Mars insieme a Florent Dechard, dove a colpire è il grande affiatamento tra i musicisti. Il suono è avvolgente, seducente, carico d’energia. «A smooth slow jam» secondo gli autori: Mars, Anderson, Dernst Emile II e Christopher Brody Brown. Il «dettagliato invito erotico» all’amata è «di venire per una notte romantica con vino, bagni con petali di rosa e altro ancora». Solo l’incommensurabile Marvin Gaye, ai bei tempi, avrebbe saputo far di meglio.
8) WING Duran Duran
Mark Ronson, per alcuni il produttore più cool del mondo (per quanto valgano certe definizioni esagerate), ha dato la definitiva fisionomia sonora alla canzone in cui c’è forse la miglior prova vocale di Simon Le Bon in Future past, quindicesimo e per ora ultimo album dei Duran Duran. La narrazione riguarda una crisi emotiva: «Ho rinunciato alla fede ma sto trattenendo il terrore /perché un uomo migliore sia nella mia testa». Ed è nell’andamento malinconico e insieme indomito che va ricercato, oltre i lustrini e l’atmosfera di festa di gran parte del disco, il senso del fare musica d’un gruppo nato come riferimento per gli adolescenti degli anni Ottanta e i cui componenti hanno oggi varcato i sessant’anni (Le Bon è nonno). L’irresistibile riff della chitarra di Graham Coxon, primo dei tanti ospiti dell’album, delinea un’epica quasi cinematografica.
9) MAN OF THE PEOPLE Steven Wilson
Questa ballata elettropop è il quinto singolo tratto da The future bites, album sulle dipendenze psicologiche e la perdita d’individualità di fronte alla tecnologia del ventunesimo secolo. Secondo l’autore parla della persona sentimentalmente vicina a un politico caduto in disgrazia o a un leader religioso coinvolto in uno scandalo sessuale. A tratti languida grazie ai suoni sintetici, splendidamente arrangiata, emotivamente coinvolgente, la canzone è associata a un video, dove prevale il bianco e nero, in cui SW la canta in primo piano. C’è grazia lucida e comunicativa nel disinvolto e ammaliante soul elettronico che testimonia l’evoluzione artistica che Wilson intende dare al suo percorso nella musica. È anche vero che un autore del suo valore ha dato prove più alte del suo talento. Questa volta, però, basta il mestiere.
10) BITTER TASTE Billy Idol
«Hello, goodbye. /There's a million way to die. /Should have left me way back on the roadside». Il 6 febbraio 1990 l’allora trentaquattrenne William Michael Albert Broad, in arte Billy Idol, era in procinto di accettare la parte del cattivo in Terminator II. Di notte a cavallo della sua Harley Davidson non si accorse d’uno stop a un incrocio di Hollywood. Un’auto lo travolse. Rischiò di perdere una gamba. Per quasi un anno restò in un letto d’ospedale. Trent’anni dopo, il ricordo dolente è stata la molla per l’ennesimo ritorno: «In quella road side ci ho lasciato gli impeti della giovinezza e trovato una maggior sensibilità come autore, oltre che come padre». Una ballata noir. Un refrain che s’incolla nella mente. Il consueto cantato sensuale con il broncio e le smorfie sulla faccia invecchiata. Il chiodo d’ordinanza, gli stivali e il resto. Billy Idol è di nuovo in giro.
ALBUM
1) UN SOGNO DI MAILA Amerigo Verardi
Il cantautore brindisino rappresenta un caso unico nel panorama largamente artificioso e creativamente povero della canzone italiana. Dopo un’opera cosmica come Hippie dixit è arrivato questo disco, altrettanto cosmico, che prosegue nella ricerca espressiva atemporale dove contano il valore della musica e la qualità della narrazione. Un gradino sotto al precedente per il primo aspetto, uno sopra per il secondo, AV realizza un concept album, in parte autobiografico, dove la bellezza, l’incanto e la meraviglia intercorrono nell’ascolto che, oltre alla sua abilità di polistrumentista, rivela una profonda conoscenza storica del pop e del rock. Stupisce, anche, la capacità di legare tutto alla continuità d’una storia che rivela la gioia, e il dolore, di vivere liberi. Alla fine, nonostante l’abbondanza, ti viene voglia di continuare come se non finisse mai.
2) PROMISES
Floating Points, Pharoah Sanders & The London Symphony Orchestra
Da oltre un decennio Pharoah Sanders non realizzava un album in studio. È tornato a farlo con il compositore elettronico Sam Sheperd, meglio noto come Floating Points, e la London Symphony Orchestra. Si tratta di musica contemplativa, trascendentale, per certi versi puro suono che prende forma e spazio nel silenzio. È una singola composizione di Sheperd divisa in nove movimenti dove l’improvvisazione scaturita dall’incontro con l’elettronica del sax tenore e della cultura jazz di Sanders riempie il presentimento intorno a un arpeggio di sette note. Floating Point lo ripropone dall’inizio alla fine in variazioni suonate alternando il sintetizzatore, il pianoforte, il clavicembalo. Ne risulta un’opera ibrida, brillante, immaginifica, in cui l’orizzonte musicale, viaggiando nello spazio psichico, può essere scrutato da molteplici direzioni.
3) OTHER YOU Steve Gunn
Registrato in due viaggi da Brooklin, dove SG risiede, a Los Angeles sulla West Coast californiana, questo è un disco prezioso. Sognante, luminoso, positivo, e per questo fuori dal tempo, sembra aver riunito tanti spiriti benigni i cui segreti del mestiere Gunn ha saputo preservare: John Martyn, Nick Drake, Bert Jansch, Sandy Denny, ma anche Mark Hollis, Gene Clark, John Fahey, Jerry Garcia … C’è una psichedelia morbida che screzia l’approccio folk-rock innervando la volontà espressiva d’un autore ispirato. C’è la capacità interpretativa d’una voce antica, di quelle che un tempo sapevano ringraziare del dono del canto. Si assorbe la levità estatica della spiritualità onirica, ma si ascoltano anche delle melodie raffinate che conducono, laicamente, alla bellezza e alla verità. La chitarra è al centro della musica. Non accade più tanto spesso.
4) COURSE IN FABLE Ryley Walker
L’album segue la sbornia progressive del suo autore e si avverte fin dall’inizio. Ma l’eclettismo di RW è tale che le influenze musicali sono mescolate ad altre provenienze e rielaborate in maniera così personale che, alla fine, l’avvicendamento di stili è l’ennesima conferma di un’attitudine tanto visionaria quanto capace di trasmutare ogni infatuazione in autenticità. La musica è spesso tanto bella quanto vera. Merito dell’approccio colto e di ricerca, ma anche dell’inventiva, del talento e dell’ispirazione. Ne beneficiano anche i testi inquieti, astratti, enigmatici e pittorici, quasi a riflettere la bella copertina del disco. Come con il precedente Deafman glance, 2018, RW riesce nell’impresa di trovare equilibrio, libertà, melodia e urgenza espressiva. Tra improvvisazione e grazia.
5) FOR FREE David Crosby
È il quinto album solista in otto anni: in precedenza, tre in ventidue. A fondamento della ritrovata creatività dopo la fine di Crosby, Stills, Nash & Young c’è la volontà, per DC, di riprendersi il tempo sprecato negli anni del dolore, ma anche la collaborazione con musicisti molto più giovani (Michael League, Becca Stevens, Michelle Willis, Mai Agan, Sara Jarosz) e meno giovani (Jeff Pevar, Michael McDonald, Donald Fagen: avesse vent’anni di meno, Crosby potrebbe aspirare a entrare negli Steely Dan). Soprattutto c’è James Raymond, il figlio ritrovato. È lui che, produttore nonché autore o coautore di sette canzoni su dieci, garantisce oggi la longevità artistica del padre. L’album, con l’autore in copertina dipinto da Joan Baez, è quello che ci si può aspettare: buona musica, a tratti grande musica, nel consueto stile west-coast.
6) CHEMTRAILS OVER THE COUNTRY CLUB + BLUE BANISTERS
Lana Del Rey
Elizabeth Woolridge Grant non si è accontentata d’un album ma ne ha pubblicati due, uno a marzo e l’altro a ottobre, entrambi di buon livello (ma il primo si fa preferire). Ha così ribadito la sua centralità nell’attuale scenario del pop, ma anche la capacità di ridefinirlo rispetto al suo innegabile e capriccioso talento. La voce languida, ai limiti del soporifero, in Blue banisters si rimodula in maniera più matura. Le ventisei canzoni (11+15) risentono degli echi della controcultura americana degli anni Settanta, sublimata nell’interpretazione di For free di Joni Mitchell (altrettanto, peraltro intitolando l’intero album, ha fatto David Crosby con Sara Jarosz), ma ribadiscono anche il diritto dell’autrice a considerarsi un modello non effimero del cantautorato femminile contemporaneo. Un modello che rielabora, con autenticità, i canoni del moderno divismo pop.
7) WAIT FOR ME Snowpoet
Dopo due dischi ispirati, il duo Snowpoet si ripresenta con un album altrettanto sensibile ma più maturo e sconfinato. C’è classicità e insieme avanguardia nel fascino discreto d’una musica a suo modo atemporale e difficilmente inquadrabile, quasi fosse sempre esistita. L’imprinting è chamber folk jazz, ma in maniera molto personale, quasi spirituale. C’è rarefazione, ma anche passione. Concentrazione, ma anche dilatazione. Lirismo, ma anche naturalezza. Fascino, ma anche coinvolgimento. La ricerca sonora amalgama la voce e gli strumenti che di volta in volta si avvicendano ricreando una sorta di alchimia. La ricchezza d’idee si riflette nella fluidità e nell’eleganza delle dodici composizioni, rivelando qualità artistica e insieme espressiva. Alla fine rimane un disco da ascoltare e riascoltare, ricevendo ogni volta nuove sensazioni.
8) LEVIATHAN The Grid / Robert Fripp
Robert Fripp torna a collaborare con The Grid e ne viene fuori, man mano che si prosegue nell’ascolto, un inusuale intreccio tra le sue soundscapes e conseguenti paesaggi sonori con la dance anni Novanta del duo formato da David Ball e Richard Norris. L’evoluzione dalla musica cosmica al dancefloor è stata esplorata, tra gli anni Settanta e Ottanta, da uno dei suoi leggendari corrieri, Manuel Göttsching. Nondimeno Fripp, sperimentando nella stessa epoca con e senza Brian Eno, è portatore d’un peculiare know-how che si esprime attraverso le sue caratteristiche note lunghe e meditative. Ripassare da territori sconosciuti ai più e fissarli da un’altra prospettiva è quindi un esercizio intrigante e, con la riduzione di complessità d’ascolto garantita nella seconda parte del disco da The Grid, anticipatore di potenziali tendenze del futuro.
9) INNER SYMPHONIES Hania Rani & Dobrawa Czoche
Le autrici, una pianista e una violoncellista polacche, sono le più giovani musiciste pubblicate dalla Deutsche Grammophon, la celebre etichetta tedesca di musica classica. Ma le dieci sinfonie interiori che costituiscono l'album, tutte per piano e violoncello con una piccola orchestra d’archi, vanno oltre gli studi classici per attingere al minimalismo, alla musica cosmica, alla musica da cinema, al modern classical. Il risultato è una sorta di classicismo contemporaneo, aperto alle influenze che possano arricchirlo, proprio della tendenza del nostro tempo a oltrepassare la rigidità delle definizioni per seguire, nelle creazioni musicali, l’attitudine dell’anima. Dire che è musica bellissima, ed è vero, significa essere banali. Dire che è musica che fa immaginare ponti e strade verso altra musica fissa, invece, una condizione di valore.
10) RAISE THE ROOF Robert Plant, Alison Krauss
È sorprendente come RP, nel tempo, si sia liberato dei Led Zeppelin pur restando fedele a loro e a sé stesso. The greatest voice in rock, almeno per i lettori di New Musical Express e di Rolling Stone, negli ultimi quarant’anni ha condotto un’apprezzabile carriera solista, ha rifatto musica con Jimmy Page, ha seguito le sue passioni. Ed è dalla riscoperta dei classici del blues, del folk e del rock che quattordici anni fa venne Raising sand, album con la principessa del bluegrass Alison Krauss prodotto da T. Bone Burnett che ebbe un inatteso successo. Il trio ci ha riprovato ed il risultato, almeno dal punto di vista della qualità musicale, è stato il medesimo. Accompagnati da musicisti come Marc Ribot, Bill Frisell e David Hidalgo, Plant e la Krauss propongono undici classici e un inedito (di Plant con T. Bone Burnett) che sembrano nuovi di zecca.
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Pietro Andrea Annicelli